Sunday, March 23, 2008

vivere in piedi



Ogni tanto succedono cose che non ti aspetti, succede che vieni sfiorato da qualcosa di inaspettato che ti fa riflettere e sai che andrai a letto con un umore radicalmente mutato. Non per forza migliore o peggiore, semplicemente diverso.Molto.

Succede che passi tutta la domenica pasquale in casa, a leggiucchiare qua e là un po' su internet un po' su libri che apri e richiudi stancamente nella più completa indolenza. Arriva la sera e ti senti l'appendice della tua poltrona, la testa inizia a fare male per le troppe ore davanti al monitor. Il senso di colpa inizia ad affiorare perchè in realtà c'erano mille modi, anche standosene seduti in casa, di usare meglio quella giornata buttata, per esempio scrivendo quella relazione che devi fare urgentemente, oppure iniziando a prepararti per il colloquio davanti all'ordine forense, oppure per l'esame che simpaticamente il dottorato ti obbligherà a sostenere tra una settimana esatta.

E sale un tedio che ti spinge a non uscire, a pensare che al massimo si potrà guardare il film che danno alla tv, che è uno degli horror più truculenti che si siano mai visti, ossia nientepopodimenoche The Passion, di quel simpatico moderato teodem che è Mel Gibson.

Eppoi arrivare a sera con ancora indosso le braghe del pigiama dà fastidio, è avvilente. Allora ti decidi a metterti la camicia, i jeans, il maglione, la cravatta (che se il maglione ha lo scollo a V è d'obbligo), il cappotto ed uscire a fare due passi. Nonostante siano le 20.40, giusto due passi intorno all'isolato per prender una semplice boccata d'aria.

Mentre cammini e pensi che è un peccato avere un'afta di proporzioni titaniche in bocca, perchè con questo tempo uggioso una fumata di pipa mentre si passeggia poteva essere un piccolo sollazzo, accade l'inaspettato. Squilla il cellulare e il diplay mostra un numero insolito, non familiare ma nemmeno del tutto sconosciuto. Allora per un istante pensi "no, ma vuoi vedere che..." e rispondi, e avevi ragione.

E' proprio lei, quella tua vecchia amica, che è stata una parte essenziale di tutta la tua adolescenza, una persona alla quale sei stato molto legato ma che da tempo, da anni non sentivi più.

Perchè lei in questi anni è passata per un lungo incubo, un'esperienza sfiancante e durissima, capace di annichilirti, fagocitare non solo il fisico, ma anche ogni entusiasmo, ogni ambizione, ogni tinta allegra che rende la vita minimamente attraente.

E questo cambiamento profondo e doloroso di solito provoca anche l'allontanamento dalle persone che ti erano vicine, un po' perchè stare vicini diventa oggettivamente più difficile un po' perchè la vita cinicamente ci impone un ritmo, ci omologa su una velocità che in genere ci allontana da chi non è in grado di sostenerla. Noi accettiamo tutto ciò, spesso non ce ne accorgiamo, spesso la corrente che ci sospinge ci rende sordi. Questo meccanismo estremo in realtà è quello che ci mette anche al riparo da secche pericolose, ma è pure quello che ci fa seguire la rotta a tutti i costi incuranti delle navi che sacrifichiamo nel percorso.

Sapevo che ora stava meglio, ci eravamo rimessi timidamente in contatto tramite i mezzi geniali e vigliacchi che l'informatica ci offre. Ma da lei, così fragile e timorosa, un passo coraggioso come questo proprio non te l'aspettavi. Senti che quando ti dice chi è, ti chiede se disturba, ti saluta, la voce le trema. Ed è semplicemente strabiliante sentire che quella seplice telefonata fatta ad un tizio indolente che girava a zonzo per il centro, per qualcuno possa rappresentare un passo tanto faticoso, ma anche tanto ambito.

Se in qualsiasi momento mi fossi prefigurato una situazione del genere avrei detto che difficilmente avrei potuto viverla privo di ogni imbarazzo, di un po' d'emozione, di qualsiasi blocco. Già è difficile aprirsi con chi, seppur spavaldamente e senza alcun problema, si fa risentire dopo molto tempo, figurarsi con chi invece fa una fatica bestiale ad emettere ogni parola, ogni pensiero.

Ma invece nulla di tutto ciò succede, perchè da subito ti senti pervaso da una improvvisa consapevolezza nuova, che lava via ogni indolenza, ogni ritrosia, ogni imprecazione pronunciata a mezza bocca contro questa giornata del cazzo.

Perchè senti una voce che - al di là di ogni fatica - è terribilmente felice di parlare con te, di raccontarti, una volta liberatasi di ogni blocco, di questi anni durissimi, di sentire tu cosa fai, come vivi, di riprendere insomma il filo lasciato molti anni prima.

E percepisci la sua difficoltà, la sua profonda insoddisfazione, la fatica che ora fa nel compiere cose che per te sono stupide dal gran che ti sembrano scontate e banali. Ma senti anche dei suoi tentativi di riprendere le redini della vita nonostante la sua immensa fragilità, ricominciare a studiare con la passione di chi nello studio vede il proprio riscatto, ma con la paura di chi si sente prennemente perseguitato dall'ombra di un fallimento irreversibile.

Provi a tirarla su di morale, a distrarla e a spronarla con tutta la convizione che hai. Le riesci a parlare sinceramente, perchè nessun imbarazzo riesce ad abitare in una sfera così personale.Tu vuoi veramente che lei ce la faccia nonostante i suoi problemi. Le racconti la tua vita, di cui spesso ti lamenti ma che ai suoi occhi sembra affascinante come il più bello dei sogni. Senti che riesce ad essere sinceramente felice per te, per i traguardi che finora hai raggiunto. E tutto ciò un po' ti commuove.

Vi salutate dopo una lunga ora di conversazione, la rassicuri, la incoraggi e le garantisci che ogni volta che vorrà chiamarti tu ci sarai. E sarai felice di rispondere al telefono e di chiacchierare. E chiuso il telefono ritorni a casa e ti scorrono davanti le immagini degli anni trascorsi, che ora sembrano fotogrammi di un film surreale, della vita di altri. Ti ricodi di come vi eravate conosciuti, dei momenti in cui la accompagnavi alla corriera, finita la scuola in quelle mattine che ora ti paiono essere sempre state soleggiate e sorridenti. Delle volte in cui i problemi che ti raccontava al massimo concernevano qualche ragazzetto cretino e provincialotto con cui stava, della serenità che sembrava avere raggiunto, eppoi del crollo. E tutto ciò ti fa soffrire molto.

E ti senti in qualche modo scosso, soffri ma allo stesso tempo sei nuovamente energico. Ti rendi conto di ciò che ti circonda con quel realismo che solo il contatto con la sofferenza sa imprimere. E allora pensi che queste cose compongono davvero la vita. Che si possono fottere l'indolenza domenicale, the passion alla tv, il dilemma se chiamare o meno un amico per uscire la sera perchè ti annoi, la ragazzetta scema con cui ti trastulli scrivendole messaggini ed aspettando le sue risposte ammiccanti e si possono fottere pure gli esami e "la disciplina europea delle agenzie di rating" che aspetta ancora di essere scritta. Fottetevi. Almeno per un momento si fottano tutte queste cose insieme e più in generale tutto ciò che dal basso della sua futilità riesce comunque ad ammorbarci la vita. Perchè in parte siamo noi che gli consentiamo di soggiogarci.

Perchè dinanzi a chi in questo fiume in piena, che a noi sta stretto e che vorremmo scambiare per l'oceano, riesce con estrema fatica a ritornare a galleggiare, noi, che i queste acque sappiamo nuotarvi bene, abbiamo come minimo il dovere di esserne consci. Siamo tenuti a fare tutto ciò che ci è permesso, raggiungere ogni ambizione che la vita ci consente di perseguire, dobbiamo farlo anche per loro che non riescono, dobbiamo tenerli a mente sempre, in ogni momento di sconforto. E la nostra conquistata forza forse sarà anche per loro un aiuto, un appiglio solido. In altre parole, dobbiamo sempre ricordarci che è nostro dovere alzarci e vivere in piedi.

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